«Decreto sicurezza gravemente lesivo»
Costituzionalisti, Anm e Unione Camere penali contrari, parla la professoressa Maria Agostina CabidduPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il decreto legge sicurezza varato dal Governo Meloni continua a generare polemiche. Per le sue connotazioni repressive e per alcuni profili ritenuti lesivi della Carta costituzionale. Strenui oppositori l’Associazione italiana dei costituzionalisti, giuristi di diversa estrazione e antagonisti bipartisan. Tra i docenti che contestano il provvedimento anche sotto il profilo della legittimità costituzionale, oltreché nel merito, c’è Maria Agostina Cabiddu, originaria di Urzulei, ordinaria di Diritto pubblico al Politecnico di Milano. «L’operazione, gravemente lesiva delle prerogative parlamentari – osserva la studiosa – è stata messa in atto mentre il Paese si preparava a festeggiare l’ottantesimo anniversario della liberazione dal nazifascismo: l’unico effetto positivo è quello di avere – forse per la prima volta – messo d’accordo, insieme a gran parte dell’Accademia, l’Associazione Nazionale Magistrati e l’Unione Camere Penali Italiane, tradizionalmente schierate su fronti opposti. In particolare, oltre a diversi appelli di associazioni scientifiche e alle iniziative assunte dall’Anm, le Camere Penali hanno indetto diverse manifestazioni di protesta, con lo slogan “peggio del disegno di legge sulla sicurezza c'è solo il decreto legge sicurezza”».
Perché una reazione così compatta da diversi fronti?
«Aggiungo una domanda e fornisco una risposta più ampia, se mi è consentito: perché 257 costituzionalisti e studiosi di diritto pubblico hanno a loro volta sottoscritto un appello, che - aperto alla firma di cittadine e cittadini (a proposito, l’appello è ancora aperto sul sito di Articolo 21: https://www.articolo21.org/2025/04/firma-lappello-per-una-sicurezza-democratica-redatto-da-257-giuspubblicisti-di-tutte-le-universita-italiane/) – ha in pochi giorni superato le 7500 adesioni di cittadine e cittadini? La ragione è presto detta: quando si tratta della garanzia di diritti e libertà non possiamo fermarci ai titoli, occorre sforzarsi di comprendere il testo e il contesto degli interventi normativi: la sicurezza è un valore costituzionale ma, attenzione, secondo la nostra Carta, essa si declina in protezione e non in compressione delle libertà; in sicurezza economica e sociale e non in repressione del dissenso; in sicurezza del e sul lavoro e non in precariato e subappalti a cascata».
Sotto il profilo giuridico, quali sono le contestazioni più aspre che voi sollevate?
«Ancora una volta, il Parlamento è stato esautorato e questa volta in modo inaudito, dal momento che, dopo lunghi mesi di discussione – segno che le criticità, segnalate anche dal Presidente della Repubblica, erano sembrate particolarmente gravi - era ormai giunto alla fase finale anche in Senato e stava per essere votato, sicché il colpo di mano del Governo non si spiega se non in termini di disprezzo del Parlamento e dei cittadini che esso rappresenta. Mancano del tutto, in questo caso, i presupposti della straordinarietà, della necessità e dell’urgenza, che anzi – trattandosi, per lo più, di materia penale – avrebbero dovuto essere specificamente circostanziati, dal momento che, solo per guardare al principio costituzionale di “colpevolezza”, in un ordinamento democratico il minimo che si deve esigere dal legislatore è che i cittadini abbiano il tempo – che nel caso del decreto-legge, che entra in vigore immediatamente, per definizione, non c’è – di conoscere le nuove disposizioni incriminatrici».
Soltanto una questione di metodo o di legittimità?
«Al di là del metodo, non privo esso stesso di profili sostanziali, è il merito che desta ulteriori e più gravi dubbi di legittimità costituzionale di questo decreto, che manipola il senso delle parole, con una torsione in senso securitario, cioè squisitamente autoritario e repressivo, di quel diritto alla sicurezza che i cittadini pretendono dallo Stato, quale garante della legalità e delle libertà.
Colpisce, in particolare sotto il profilo del merito, l’irragionevolezza e la vaghezza di molte disposizioni, che introducono 14 nuove ipotesi di reato, inaspriscono le pene per altri nove reati e introducono aggravanti, guardando, più che al fatto commesso, all’autore dello stesso (il migrante, il rom, il detenuto etc.). E così si introducono nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale, come l’occupazione abusiva di immobili – condotta già sanzionata – che diventa reato punibile con una pena che coincide con quella prevista per l’omicidio colposo posto in essere in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro».
È l’intero reticolo normativo che non piace, a quanto pare di capire.
«Ci sono norme, come quella relativa all’aggravante dei reati commessi all’interno o nelle adiacenze delle stazioni ferroviarie o metropolitane, di cui non si comprende il senso: perché deve considerarsi più grave una rapina commessa nei pressi della stazione piuttosto che nei pressi di una scuola o di un’Università? Ci sono poi disposizioni volte palesemente a reprimere il dissenso: il blocco stradale diventa un reato e, se avviene “in occasione di” una manifestazione, e sono più persone a bloccare la strada, allora la pena può arrivare fino a sei anni. È introdotto il reato di rivolta all’interno di un carcere e sarà punito non solo chi commette atti violenti o minacce, ma anche chi resiste passivamente e si limita a non seguire gli ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”. Le stesse regole si applicheranno anche nei Cpr, così equiparando questi centri alle carceri e coloro che vi sono trattenuti ai condannati o detenuti in attesa di giudizio».
Temete il rischio che si torni a tempi bui? A quelli dei poliziotti pistoleri, per dirla tutta?
«Particolarmente lesive di principi costituzionali, a partire dal principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), sono le disposizioni inserite nell’art. 31, concernenti i servizi segreti, che autorizzano come legittime talune condotte del personale dei servizi segreti altrimenti criminali (e fin qua, si starebbe per dire..) ma – attenzione - anche fuori dai casi coperti da segreto di stato relativo all’“integrità della Repubblica”, alla difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione “a suo fondamento”, all’“indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati” o alla “preparazione e alla difesa militare”, con – di più – facilitazioni nell’utilizzo di “identità di copertura” e nel reclutamento degli agenti. Per non dire dei poliziotti pistoleri, ovvero autorizzati a portare armi, anche diverse da quelle di ordinanza e fuori dal servizio. Paradossi o se si vuole, diritto penale simbolico, destinato a cadere – si spera presto – sotto la scure della Corte costituzionale, perché, come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica nel suo discorso per il 25 aprile, “è sempre tempo di Resistenza (…) perché sono sempre attuali i valori che l’hanno ispirata” e quei valori non si difendono da sé, ma vanno difesi».