L’avventura di Giovanni Deiana, soldato francese per caso: «Oggi non lo rifarei»
Una memoria tagliente, l’ottantaduenne esterzilese racconta la sua storia tra bombe atomiche, paracadutisti e la fugaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Di notte a piedi, di giorno nascosto. Così Giovanni Deiana è fuggito dalla Legione Straniera francese, otto anni dopo essersi arruolato… per sbaglio.
Inizia tutto con un “patatrac”. Una parola che nella bocca di Giovanni Deiana – classe 1943, occhi vispi da eterno ragazzo – descrive benissimo l’assurdità di quel giorno del 1963, quando si ritrovò improvvisamente soldato della Legione Straniera francese.
«Io e un mio amico di Nuoro siamo arrivati in Francia, eravamo lì alla ricerca di un lavoro. Il francese? Non capivamo una sola parola. Ci hanno fermato i gendarmi e ci hanno portato in caserma», ricorda l’uomo dalla sua casa milanese. «Ci hanno fatto alcune domande in francese e noi, senza sapere che cosa ci stessero chiedendo abbiamo risposto “sì, sì”». Il risultato? «Increduli e anche un po’ spaventanti, mezz’ora eravamo vestiti da militari francesi. Fucile in spalla e via».
Non una scelta ben ponderata, ma una confusione linguistica: «un patatrac», come ripete in continuazione Deiana.
All’epoca aveva poco più di vent’anni, la voglia di conoscere il mondo, il sorriso ingenuo, ma nessuna idea di cosa fosse la Legione. È da quel momento, però che la sua vita ha preso la forma di un romanzo pulp: prima gli addestramenti durissimi in Corsica, poi le missioni segrete in Algeria, ma anche i voli intercontinentali a Los Angeles fino a Tahiti per partecipare – da perfetto sconosciuto – ai test della bomba H francese nell’atollo di Mururoa.
«Abbiamo costruito un piccolo porto nella laguna, ci portavano con le chiatte. Lì hanno fatto scoppiare l’atomica. Avevo provato una strana sensazione e a pensarci oggi… ». A pensarci oggi? «Era una vita da carne venduta», dice con tono asciutto, senza piagnistei.
«Ti pagavano davvero poco e poi loro decidevano dove mandarti e ovviamente tu non potevi lamentarti o protestare: ubbidire era la parola d’ordine. Se tornassi indietro? Avrei cercato di capire meglio la lingua e avrei detto di no, ma soprattutto scapperei prima».
Già, perché alla fine Giovanni è scappato davvero. Come nei film, da solo: camminando di notte, dormendo di giorno, senza biglietto, senza soldi. Già, perché alla fine Giovanni Deiana è scappato davvero dalla Legione francese. Come nei film, da solo: camminando di notte, dormendo di giorno, senza biglietto, senza soldi. «Se scappavi con qualcun altro, ti beccavano sempre, ti riportavano indietro e poi scattavano anche le punizioni. Io, dopo aver organizzato la fuga per tanto tempo, sono riuscito a tornare in Italia, ma quando sono arrivato sono stato fermato dai carabinieri: per il nostro Paese ero un disertore».
La sua evasione rocambolesca lo ha dunque riportato prima in caserma: «All’inizio non capivo cosa avessi sbagliato, sostenevano che dovessi fare il militare, dopo otto anni di Legione, altri due anni con la divisa sarebbero stati un gioco, ma in ogni caso non avevo scelta: dovevo ancora una volta ubbidire. Così ho fatto 15 mesi e poi mi sono congedato».
E poi è arrivato l’amore: Rosina, una giovane del suo paese, il matrimonio nel 1974 a Esterzili e la partenza il giorno stesso per Milano. Lì, ha vissuto una vita più tranquilla: da cuoco, senza più mitra e ordini in francese. Oggi Giovanni Deiana guarda con occhi amari le nuove generazioni attratte dalla Legione straniera e il suo pensiero va ai giovani italiani morti in Ucraina: «Se non fossi scappato, sarei morto pure io. In quegli anni, un altro mio compaesano era arrivato nella Legione francese: me lo ero ritrovato davanti agli occhi in Africa e gli avevo “Vai via finché puoi”. Per fortuna mi aveva ascoltato, era scappato e oggi può raccontare quegli anni difficili».