Tra il 12 e il 13 giugno Israele ha attaccato l’Iran, divenuto fronte primario di guerra, con l’intento dichiarato di fermarne l’escalation nucleare. Il suo primo ministro Benjamin Netanyahu, stando a quanto rivelato dai media, sarebbe intenzionato a conseguire un vero e proprio “regime change”. E se, dagli Stati Uniti, il Presidente Donald Trump invoca una quanto più immediata de-escalation pur (sembrerebbe) senza escludere un coinvolgimento degli stessi Stati Uniti nel conflitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, sull’opposto frangente, pare abbiano denunciato l’attacco israeliano con inequivocabile determinazione e pare, ancora, che abbiano palesato la loro apprensione per le conseguenze sulla stabilità regionale.

Mosca, e per essa il suo Presidente Vladimir Putin, si sarebbe proposta come mediatore in forza dei rapporti esistenti con entrambe le parti contendenti e, tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è intercorsa un’intensa conversazione telefonica e lo stesso Donald Trump sembra aver manifestato un’apertura alla mediazione russa. Ad oggi, l’Unione Europea non appare coinvolta nel contesto delle iniziative diplomatiche. Circostanza, quest’ultima, che, al di là degli scenari di guerra, e dei fronti coinvolti, potrebbe renderne assai complessa la posizione sul piano dell’affermazione geo-politica internazionale in continuo divenire e che sembrerebbe individuare quali interlocutori/competitor degli Stati Uniti soprattutto Paesi come la Russia e la Cina, seppur ancora moderatamente coinvolti circa il pericolo di una estensione del conflitto. Intanto, perché, l’obiettivo ampiamente dichiarato di Benjamin Netanyahu, parrebbe sussumibile nel conseguimento dell’eliminazione di ogni potenziale minaccia iraniana, considerata alla stregua di una minaccia per la stabilità politica in Medio Oriente. Quindi, perché, non sarebbe affatto secondario interrogarsi sulla tempistica stessa dell’attacco deciso e sopraggiunto allorquando la posizione di Israele nel contesto internazionale ha cominciato a subire duri contraccolpi in seguito alle drammatiche vicissitudini di Gaza. Infine, perché, se anche divenisse sempre più intenso, e se anche e comunque il conflitto in essere fra Israele e Iran dovesse restare circoscritto al perimetro regionale, tuttavia potrebbe interessare altri player.

L’Unione Europea sembra restare esclusa dalle operazioni diplomatiche sul futuro del Medio Oriente, e probabilmente, determinante in questo senso potrebbe essere stato il sostegno prestato ad Israele. Più precisamente, nel frangente, Ursula Von der Leyen, da ultimo, pur ribadendo il diritto di Israele a difendersi e a proteggere il proprio popolo, ha sottolineato che preservare la stabilità regionale resta l’obiettivo fondamentale, esortando nel contempo tutte le parti ad agire con la massima moderazione.

Coordinamento e cooperazione tra i vari Paesi Membri e tra questi e gli Stati Uniti dovrebbero essere privilegiati per giungere ad un percorso diplomatico stabilizzante e fare parte integrante della mediazione internazionale senza dover restare condizionati alle determinazioni di altri player. Il rischio sembra quello di restare marginali in contesti chiave proprio in un momento storico che, per le sue imprevedibili peculiarità, sta conoscendo una rapida affermazione di Cina e Russia.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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